Esercizio di Disidentificazione e Auto-Identificazione

Un tema centrale della Psicosintesi è certamente la disidentificazione.

Secondo Assagioli il nostro io si identifica abitualmente con sensazioni corporee, emozioni, desideri, pulsioni e pensieri.
Ci identifichiamo anche con i nostri ruoli (io sono un medico, io sono un insegnante, io sono un commerciante, io sono una mamma, etc.., lo sentiamo spesso vero?).

È comune anche l’identificazione con nuclei patologici: ansia e fobie, autoimmagini distruttive e limitanti, ideazioni e sentimenti depressivi, abitudini emotive infantili, impulsi incontrollabili, rituali compulsivi, ecc.

È possibile imparare a distanziarsi da tutti queste realtà psichiche, e osservarle interponendo una distanza fra il nostro io e qualsiasi contenuto osservato.
Assagioli insegnava che è possibile attuare una diversa collocazione dell’io nell’ambito della psiche.
La distanza ci aiuta a ridimensionare e depotenziare elementi che altrimenti possono controllarci.

Secondo Assagioli “siamo dominati da tutto ciò con cui ci identifichiamo, possiamo dominare tutto ciò da cui ci siamo disidentificati“.
La pratica dell’esercizio di disidentificazione guida chi la adotta a sapersi liberare da forze altrimenti destinate a controllarlo…
Il punto di arrivo di questo esercizio è la realizzazione dell’io come centro di pura autocoscienza e volontà.
Questo processo può offrire a chi lo usa un senso di padronanza e di libertà interiore.
Tecniche e atteggiamenti di questo tipo sono presenti in varie tradizioni spirituali orientali e occidentali.

Da questo punto in poi, fai finta che sia il Prof. Roberto Assagioli che ti sta parlando…
ed è un “fai finta” relativo perchè tutto quello che troverai scritto è tratto dagli Archivi Assagioli di Firenze (Grazie!) ed è parte della vasta documentazione dei suoi studi, delle sue conferenze, dei suoi appunti. Insomma, un vero tesoro per gli appassionati!

Le eventuali modifiche apportate sono solo di natura stilistica, mai concettuale. 
E dunque, buona lettura e buon allenamento!

Eccoci quindi all’esercizio di disidentifcazione, questa pietra miliare della Psicosintesi:

Il primo stadio consiste nell’affermare con convinzione, e divenire consapevoli del fatto:
« Io ho un corpo, ma non sono il mio corpo».
Ciò dovrebbe essere ovvio: il corpo è qualcosa di materiale, in continuo cambiamento; in pochi anni tutte le sue cellule vengono rinnovate.
Tuttavia noi ci identifichiamo erroneamente di continuo con il nostro corpo, e attribuiamo all’«io» le nostre sensazioni fisiche.
Ad esempio noi diciamo: «Io sono stanco», ma questa è un’eresia psicologica, poiché l’Io non può esser stanco; il corpo è stanco e trasmette all’Io una sensazione di affaticamento — e questo è molto diverso.

Questo primo stadio è relativamente facile; il secondo lo è molto meno. Consiste nel rendersi conto che «Io ho una vita emotiva, ma non sono le mie emozioni, i miei sentimenti ».
Quando uno dice: «Io sono irritato», oppure «Io sono contento», fa anche in questo caso una falsa identificazione dell’Io con degli stati psicologici che sono mutevoli e talvolta contraddittori.
Dire «Io sono irritato» è commettere un errore di grammatica psicologica; l’espressione giusta è invece: «Vi è in me uno stato d’irritazione».

Il terzo stadio consiste nell’affermare: «Io ho una mente, ma non sono la mente».
Ordinariamente noi ci identifichiamo con i nostri pensieri; ma quando li analizziamo, quando ci osserviamo mentre pensiamo, allora ci accorgiamo che la mente funziona come uno strumento; noi possiamo esaminare il suo modo di lavorare più o meno logico, osservarlo «dall’alto», per così dire; questo indica che noi non siamo i nostri pensieri.
Essi pure sono mutevoli: un giorno pensiamo in un modo, il giorno dopo possiamo pensare nel modo contrario .

(foto di Teslariu Mihai)

André Maurois, fine psicologo, non di professione ma per intuizione – è arrivato a dire che «l’uomo normale cambia di filosofia dieci volte al giorno»! Una prova evidente del fatto che non siamo i nostri pensieri si ha quando tentiamo di dominarli e di dirigerli; quando vogliamo pensare a qualcosa di astratto o di non interessante, spesso il nostro strumento mentale si rifiuta infatti di obbedirci.
Ogni studente che abbia da imparare qualcosa che per lui è noioso lo sa bene.
Dunque, è evidente che se la mente si ribella al dominio dell’Io, allora ciò significa che l’Io non è la mente.

Questi fatti dimostrano che il corpo, i sentimenti e la mente sono strumenti di esperienza, di percezione e di azione, strumenti mutevoli e impermanenti.
Invece l’Io è essenzialmente diverso:
semplice, immutabile, consapevole di sé. L’esperienza interna dell’Io può essere formulata nel modo seguente: «Io sono Io, un Centro di pura coscienza».
Affermare questo con convinzione non significa che si sia già raggiunta l’esperienza dell’Io, l’auto-identificazione, ma è la via che vi conduce ed è un mezzo efficace per arrivare a dominare e a dirigere le nostre attività psichiche.

(foto di Teslariu Mihai)

La coscienza dell’Io, l’auto-coscienza, è quello che distingue l’uomo dall’animale.
Gli animali hanno sensazioni fisiche, hanno emozioni, dimostrano anche un’attività mentale elementare, ma non risulta che abbiano auto-coscienza.
Invece l’uomo ha una coscienza di sé, talvolta vaga e incerta, talvolta acuta e separativa (egocentrismo), ma può arrivare anche ad avere la coscienza dell’Io puro libero da ogni identificazione .

Si dovrebbe cominciare la giornata «rientrando in se stessi».
Rientrare in se stessi: riflettiamo sul profondo significato di queste parole.
Generalmente, noi viviamo infatti «al di fuori» del nostro vero essere; siamo ovunque fuorché nell’IO.
Veniamo continuamente attratti e distratti da innumerevoli sensazioni, impressioni, preoccupazioni, ricordi del passato e progetti per il futuro.
Siamo «decentrati», ignari o obliosi di quello che siamo in realtà.

(foto di Teslariu Mihai)

Questo esercizio può essere fatto anche in gruppo.
Farlo così può essere, sotto un certo aspetto, più facile per l’aiuto che viene da chi dirige l’esercizio e per la stimolazione reciproca. Ciò incoraggerà i partecipanti a continuare poi a fare l’esercizio regolarmente da soli. Esso dovrebbe diventare una pratica quotidiana per la salute psicospirituale.


Vediamo quindi come svolgere questo esercizio al meglio:

1 – Il primo stadio consiste nello stare seduti in posizione comoda, abolendo ogni tensione muscolare e nervosa; a ciò giova una precedente pratica dell’esercizio di rilassamento. È opportuno tenere la colonna vertebrale eretta, la testa lievemente abbassata e chiudere gli occhi; poi fare alcune respirazioni profonde, lente e regolari.

Foto di Jaspinder Singh


2 – Affermiamo lentamente, con attenzione e convinzione: «Io ho un corpo, ma non sono il mio corpo. Il mio corpo può trovarsi in differenti condizioni di salute o di malattia, può essere riposato o stanco, ma questo non ha nulla a che fare con Me, col mio vero Io. Il mio corpo è un prezioso strumento di esperienza e di azione nel mondo esterno, ma è soltanto uno strumento; lo tratto bene, cerco di tenerlo in buona salute, ma non è me stesso. Io ho un corpo, ma Io non sono il mio corpo».
(Dopo un periodo di allenamento ci si può limitare a ripetere più volte la frase finale: «Io ho un corpo, ma non sono il mio corpo». Lo stesso vale anche per gli stadi successivi).

Foto di Julius Drost


3 – Affermiamo con convinzione: «Io ho emozioni, ma non sono le mie emozioni. Queste sono diverse, mutevoli e contrastanti, mentre io rimango sempre io, me stesso, nell’avvicendarsi della speranza e dello scoraggiamento, della gioia e del dolore, dell’irritazione e della calma. Io posso osservare, comprendere e giudicare le mie emozioni, e divenire sempre più capace di dominarle, dirigerle e utilizzarle».
«Io ho emozioni, ma Io non sono le mie emozioni».

Foto di Toa Heftiba


4 – «Io ho desideri, ma non sono i miei desideri, suscitati da impulsi fisici e psichici o da influssi esterni.
Anche i desideri sono mutevoli e contrastanti, in un avvicendarsi di attrazioni e di repulsioni.
Vi sono in me desideri, ma non sono Me».

Foto di Bernd 📷 Dittrich 


5 – «Io ho una mente, ma non sono la mia mente.
Essa può essere più o meno sviluppata e attiva; è indisciplinata, ma poco a poco posso dominarla e dirigerla.
È un organo di conoscenza, sia del mondo esterno sia del mondo interno, ma non è me stesso.
Io ho una mente, ma non sono la mia mente».

Foto di Abishek


6 – Tutto ciò rappresenta la preparazione alla fase finale positiva , all’affermazione e all’esperienza dell’ autocoscienza:
«Sono convinto e affermo che Io sono un Centro di pura consapevolezza, di pura autocoscienza; sono un Centro di volontà, capace di dominare, dirigere e usare tutte le mie funzioni psichiche e il mio corpo. IO SONO».

Foto di Mario Dobelmann


Soffermiamoci su questa affermazione, cercando di sentirla, di realizzare questa pura coscienza di essere, questo elemento stabile, immutabile e saldo come una roccia in mezzo all’agitarsi delle onde del divenire a tutti gli altri livelli. « IO SONO».

Foto di Marek Okon

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